“Piwi? Meglio ripensare a portinnesto e selezione clonale dei vitigni già esistenti”

Dichiarazioni a sorpresa dell’ex direttore del Centro di ricerca per la viticoltura Crea, Diego Tomasi


SCANSANO –
Meglio i vitigni resistenti (Piwi) o i vitigni già esistenti per combattere la sfida dei cambiamenti climatici? Pare non avere dubbi Diego Tomasi, ex direttore ed ora ricercatore del Crea, Centro di Ricerca per la Viticoltura.

“I Vivai Rauscedo stanno mettendo a disposizione ormai da anni i Piwi. Ma basterebbe conoscere meglio i vitigni già esistenti e lavorare per esempio sui portinnesti più adeguati per fare in modo che si adattino alle avversità del clima, vera piaga per la viticoltura italiana e internazionale”.

L’intervento nel corso della presentazione di Morellino Green, il nuovo progetto di mobilità elettrica legata all’enoturismo nel territorio del Morellino di Scansano.

“Siamo sicuri di aver agito bene con la selezione clonale negli ultimi anni? A mio avviso ci siamo sempre limitati a studiare solo il grappolo e la sua composizione, ma non la vite, presa singolarmente. Non varrebbe la pena di riprendere in mano il tema della selezione clonale? Siamo certi di aver esplorato tutta la variabilità naturale del Sangiovese e degli altri vitigni già esistenti?”.

“La genetica – ha aggiunto Diego Tomasi – ha bisogno di altri vent’anni per arrivare a qualcosa di concreto”. Ma il tempo non c’è. “Perché il cambiamento in corso riguarda l’intensità, la persistenza e la frequenza fenomeni che creano scombussolamento al clima”.

In conclusione, sempre per il ricercatore del Crea, “la cosa migliore per i viticoltori sarebbe prendere vantaggio della diversità climatica locale, studiando il comportamento delle singole piante di vigneto in vigneto e, sulla base dei risultati, cambiare eventualmente approccio. Servono vigneti più plastici, meno rigidi, in grado di adattarsi”.

GLI STUDI DEL CREA
A riprova di questa tesi, Diego Tomasi ha riferito i risultati di alcune analisi e sperimentazioni svolte dal Crea. Centrale il ruolo del portinnesto della vite: “Abbiamo messo a confronto le reazioni dell’M4 e del 1103 P in Calabria  in condizioni di forte stress idrico”.

Il primo ha evidenziato un numero inferiori di radici, ma una dimensione del tronco della vite e un grado di umidità delle foglie superiore al 1103 P. Elemento che lo ha reso più efficace per supportare la pianta durante i fenomeni siccitosi.

“Tra le pratiche più utili – ha evidenziato Tomasi – ci sono poi le defogliazioni tardive: effettuate 3, 4 settimane prima della vendemmia, togliendo il 30% delle foglie giovani, riducono la fotosintesi ma non la formazione dei polifenoli. In due annate di Sangiovese poste sotto esame è stato il tagliato un grado Babo”.

Altro tema fondamentale per la viticoltura esposta ai cambiamenti climatici è la perdita di acidità. Emblematico il caso della Glera, uva con la quale viene prodotto il Prosecco. Negli ultimi 20 anni, secondo quanto riferito da Tomasi, la concentrazione naturale dell’acido malico della varietà si è dimezzato.

Tra le tecniche suggerite dal Crea c’è la defogliazione. “Dovrà essere eseguita in prefioritura – ha spiegato il numero uno del Centro di Ricerca – per evitare la scottatura grappoli. La defogliazione precoce testata sul Sangiovese ha avuto come risultato una minore allegagione e peso dell’acino, ma anche grappoli meno soggetti a scottature e più pigmenti coloranti”.

Da non sottovalutare i risvolti delle tecniche di allevamento della vite. In Valpolicella, la pergola inclinata testata dal Crea al posto del Guyot per la Corvina ha consentito di ottenere un 30% in più di antociani, proteggendo per di più il grappolo dalle conseguenze dei violenti rovesci.

Ma l’elemento che più si tende a sottovalutare – ha precisato Tomasi – è il suolo: la qualità del vino passa dalla terra. Da qui l’importanza assoluta di curare la rizosfera, ovvero la porzione che circonda le radici, fondamentale per aiutare la vite a sopportare gli stress, nonché elemento importantissimo nel cosiddetto terroir”.

In conclusione del suo intervento, il ricercatore del Crea ha lanciato un monito ai viticoltori: “Deve per forza accadere qualcosa di nuovo nel vigneto italiano per contrastare i cambiamenti climatici. L’imprevedibilità e gli eventi estremi all’interno della medesima annata preoccupano ormai più delle variabilità tra un’annata all’altra. Pensiamoci”.

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